Novembre 24, 2024

Atteso entro la fine di febbraio 2019, è stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 maggio scorso il decreto attuativo relativo ai Piani Individuali di Risparmio (PIR) così come modificati dalla scorsa legge di Bilancio. Prima di entrare nei dettagli del decreto e provare a riflettere sull’utilità o meno della riforma che ha coinvolto questi strumenti di risparmio, è utile ripercorrere sommariamente le tappe che hanno portato all’attuale situazione.

Cosa sono i PIR

I Piani Individuali di Risparmio sono strumenti di investimento (fondi comuni, Sicav, polizze vita) piuttosto speculativi, rivolti ad una fascia di mercato specifica: quella della piccola e media impresa. Questa tipologia di prodotti è stata istituita con la Legge di bilancio del 2017, prevalentemente con l’obiettivo duplice di consentire alle PMI un accesso al credito alternativo, veicolando verso di esse la liquidità investita dai risparmiatori e di premiare questi ultimi per mezzo di un rilevante incentivo di tipo fiscale. In origine, le caratteristiche specifiche di questi prodotti dovevano essere tali da rispecchiare le seguenti linee guida:

  • almeno il 70% del totale degli investimenti doveva riguardare obbligazioni o azioni di imprese residenti in Italia o europee ma con attività stabile in Italia;
  • di questo 70%, il 30% doveva riguardare obbligazioni o azioni di imprese non presenti nel FTSE MIB, ossia, semplificando, nell’indice della Borsa di Milano che raccoglie le principali quaranta società italiane per capitalizzazione, flottante e liquidità;
  • ogni emittente non poteva concentrare più del 10% del totale degli investimenti.

A vantaggio del risparmiatore, si previde di premiare la detenzione di un PIR per almeno cinque anni con la totale defiscalizzazione delle eventuali plusvalenze maturate. Si dispose che il risparmiatore doveva essere necessariamente una persona fisica residente in Italia e doveva avere la possibilità di versare nel PIR al massimo €30.000 all’anno, con un limite massimo di €150.000.

2018: tempo di bilanci

Con la fine del 2018, nel metter mano alla Legge di bilancio per l’anno successivo, si è pensato bene di fare il punto sull’efficacia dei Piani Individuali si Risparmio nel drenare risorse verso le Piccole e Medie Imprese. Ciò che è emerso è che – nonostante la buona raccolta tra i risparmiatori nel primo biennio di vita (per la verità grazie alla potente spinta del primo anno: sui quasi 15 miliardi di euro di raccolta complessiva, il 2017 pesa per ben 11 miliardi) – solo il 27% degli investimenti è finito alle small e mid cap, solo l’1% è finito alle matricole dell’AIM di Borsa Italiana e nulla è stato destinato alle piccole società non quotate.

I PIR e la Legge di bilancio 2019

I correttivi per rimediare a questa carenza di efficacia dello strumento sono stati implementati nella Legge di bilancio 2019 e sostanzialmente si riducono ai seguenti due punti:

  • il 3,5% almeno dell’investimento deve riguardare le imprese quotate AIM con meno di 250 dipendenti e meno di 50 milioni di Euro di ricavi;
  • il 3,5% almeno dell’investimento deve riguardare fondi italiani di venture capital, al fine di consentire il finanziamento indiretto delle piccole società non quotate.

La conseguenza operativa immediata seguita al varo della Legge finanziaria è stata – ovviamente – il blocco del collocamento da parte dei gestori dei PIR ante 2019, poiché non più conformi alle norme di legge. Per il collocamento PIR nuovi, armonizzati alla nuova Legge di bilancio, si sarebbe dovuto aspettare l’emanazione del decreto attuativo, pubblicato finalmente lo scorso 7 maggio in Gazzetta Ufficiale.

Il decreto attuativo

Il decreto attuativo – che conferma nella sostanza le indicazioni della Legge di bilancio 2019 – ha generato un forte scontento tra i gestori di fondi. La perplessità principale è data dalla caratteristica illiquidità degli investimenti in fondi di venture capital, previsti per almeno il 3,5% del totale. In prodotti destinati alla clientela retail, avere difficoltà di smobilizzo del proprio capitale se non a condizioni particolarmente gravose può rappresentare effettivamente un problema, quando l’obiettivo è incentivare la raccolta. Oltre al fatto che il mercato dei fondi di venture capital, in Italia, non risulta essere particolarmente sviluppato.

Quali prospettive per i PIR 2.0?

A quanto sembra, il mercato dei nuovi PIR potrebbe subire una definitiva battuta di arresto, sia per le perplessità sopra delineate sia perché i mercati azionari, essendo caratterizzati in questi ultimi mesi da forte volatilità ed incertezza, non godono di appeal particolare. Nel decreto attuativo il legislatore, comunque, ha stabilito un periodo test di sei mesi al cui scadere potrà rivalutare la situazione e, se sarà il caso, intervenire con ulteriori apporti normativi.