Ottobre 12, 2024

I fondi pensione negoziali sono strumenti di previdenza complementare che accomunano molte categorie di lavoratori, pubblici e privati. Essi nascono in virtù di accordi fra le organizzazioni sindacali e i datori di lavoro e sono riservati espressamente ed esclusivamente a specifiche categorie di lavoratori. Quest’ultimo aspetto è il motivo per il quale tali fondi di previdenza complementare vengono anche definiti fondi chiusi. Tra i fondi pensione negoziali più grandi ricordiamo Cometa, il fondo del settore metalmeccanico, Fonchim, il fondo del settore chimico e Fon.Te., dedicato ai lavoratori del commercio. Anche alcuni lavoratori pubblici, dipendenti statali o degli enti locali, possono aderire – a seconda del loro settore – a specifici fondi pensione chiusi. I due principali fondi pensione dedicati ai lavoratori pubblici sono:

  • Espero, per i dipendenti del comparto Scuola;
  • Perseo Sirio, per il personale della Pubblica Amministrazione e della Sanità.

Nonostante le finalità dei fondi pensione negoziali siano per tutti quanti le medesime, i fondi chiusi dedicati ai dipendenti pubblici hanno sino ad oggi mostrato alcuni specifici aspetti distintivi, prevalentemente in materia fiscale. Vediamone di seguito i dettagli.

Come funziona la previdenza complementare pubblica

I contributi

I fondi negoziali pubblici prevedono il versamento di due tipologie di contributi:

  • il contributo del datore di lavoro e quello proprio, previsti dalla contrattazione collettiva;
  • eventuali contributi volontari, versati liberamente dal lavoratore.

Il Trattamento di Fine Rapporto non viene veicolato nel fondo, bensì semplicemente accantonato in maniera figurativa dall’INPS. Quest’ultima, solo al termine del rapporto di lavoro, provvederà a conferirlo al fondo assieme al rendimento netto effettivo da questo realizzato.

Le prestazioni

Sono previste le seguenti prestazioni:

  • vecchiaia, prestazione erogata dopo almeno cinque anni di permanenza nel fondo ed al raggiungimento dei requisiti previsti dal sistema pensionistico obbligatorio;
  • anzianità, con almeno quindici anni di permanenza nel fondo e con un età anagrafica non inferiore di più di dieci anni a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia;
  • RITA (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata), ossia l’erogazione frazionata di parte o di tutto il capitale accumulato. La RITA è rivolta a coloro che cessano l’attività lavorativa non prima di cinque anni dall’età anagrafica prevista per il pensionamento di vecchiaia, in grado di dimostrare almeno venti anni di contribuzione pubblica e almeno cinque di partecipazione alle forme pensionistiche complementari; può essere richiesta anche dagli inoccupati da almeno ventiquattro mesi ai quali manchino non più di dieci anni all’ottenimento dei requisiti della pensione di vecchiaia e che dimostrino almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari;
  • anticipazioni. Può essere richiesto l’intero importo maturato (al netto del TFR), trascorsi almeno otto anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, per le seguenti casistiche:
    • spese sanitarie straordinarie;
    • acquisto della prima casa, per sé o per i figli;
    • ristrutturazione o altri interventi sul proprio immobile.
  • riscatto, ottenibile quando vengono meno i requisiti di partecipazione al fondo (cessazione del rapporto di lavoro prima del raggiungimento dello stato di quiescenza).

Il regime fiscale

Dal 1 gennaio 2018, anche per gli aderenti ai fondi negoziali pubblici valgono le regole fiscali stabilite nel decreto legislativo n.252/2005, sia in relazione ai contributi versati sia in relazione alle prestazioni erogate. Sui vantaggi fiscali dei fondi o piani pensione, ci siamo occupati piuttosto diffusamente sia qui che qui. Ricordiamo semplicemente che i contributi versati (al netto del TFR) sui fondi pensione sono deducibili – a regime – dal reddito imponibile lordo, sino alla somma di €5.164,57, mentre ai rendimenti del fondo viene applicata una aliquota del 20%.
Più complessa è la questione della fiscalità associata alle prestazioni. In questo caso bisogna distinguere un prima ed un dopo il 1 gennaio 2018 in relazione ai montanti maturati. Infatti, nel caso in cui il lavoratore pubblico avesse liquidato il suo fondo pensione, poniamo, nel dicembre del 2018, non tutto il montante avrebbe beneficiato delle regole previste dal Dlgs 252/2005 ma solo quella piccola parte relativa ai versamenti e alla redditività del fondo successivi al 1 gennaio dello stesso anno. Ma che differenza c’è tra i due trattamenti fiscali?

Il regime fiscale per i montanti maturati al 31 dicembre 2017

A seconda del tipo di prestazione richiesta, per i montanti maturati al 31 dicembre 2017 vengono applicate le seguenti regole fiscali:

  • anticipazione: applicazione dell’aliquota media degli ultimi cinque anni, che non può essere inferiore al 23%;
  • rendita: aliquota marginale IRPEF;
  • capitale: aliquota media degli ultimi cinque anni o aliquota marginale IRPEF;
  • riscatto: aliquota media degli ultimi cinque anni o aliquota marginale IRPEF.

Il regime fiscale per i montanti maturati dal 1 gennaio 2018

Le regole fiscali applicate ai montanti maturati a partire del 1 gennaio 2018 sono invece le seguenti:

  • anticipazione: aliquota del 23% fatta eccezione per le spese sanitarie, per le quali si applica l’aliquota del 15% a scalare di uno 0,3% per ogni anno di permanenza nelle forme di previdenza complementare superiore al quindicesimo, sino ad un minimo del 9%;
  • rendita: aliquota del 15% a scalare di uno 0,3% per ogni anno di permanenza nelle forme di previdenza complementare superiore al quindicesimo, sino ad un minimo del 9%;
  • capitale: aliquota del 15% a scalare di uno 0,3% per ogni anno di permanenza nelle forme di previdenza complementare superiore al quindicesimo, sino ad un minimo del 9%;
  • riscatto: aliquota del 23% o aliquota del 15% a scalare di uno 0,3% per ogni anno di permanenza nelle forme di previdenza complementare superiore al quindicesimo, sino ad un minimo del 9%.

La sentenza 218/2019 della Consulta

Lo scorso 3 ottobre 2019 la Corte Costituzionale, con la sentenza 218/2019, ha stabilito essere illegittimo il diverso trattamento fiscale applicato al riscatto totale di un fondo pensione negoziale tra dipendenti pubblici e privati. La Consulta, prendendo come riferimento l’Art.3 della Costituzione – in particolare il principio dell'”eguaglianza tributaria” – ha sottolineato come il beneficio riconosciuto ai dipendenti privati, volto allo sviluppo della previdenza complementare, debba necessariamente essere concesso anche ai dipendenti pubblici. A questo punto è legittimo auspicare ed attendersi che il legislatore intervenga sull’intera normativa della previdenza complementare, al fine di estenderne tutti gli aspetti favorevoli anche ai dipendenti pubblici, sin’oggi penalizzati dall’applicazione della normativa previgente al Dlgs 252/2005.