In questo articolo sveliamo tutto quanto c’è da sapere sui lavori socialmente utili: come iscriversi, cosa sono, come funzionano e quanto pagano.
Lavori socialmente utili: come iscriversi
Tagliamo subito la testa al toro e diciamo, senza giri di parole, che non è possibile iscriversi ad alcuna piattaforma per poter svolgere quelli che vengono definiti “lavori socialmente utili“. Ma cerchiamo innanzitutto di capire bene cosa si intende con tale definizione, oggi, nel 2024.
Cosa sono i lavori socialmente utili
Attualmente, con l’espressione “lavori socialmente utili”, si possono intendere sostanzialmente due cose un po’ diverse tra loro:
- i lavori socialmente utili veri e propri, in acronimo LSU;
- i lavori di pubblica utilità, o LPU.
Lavori socialmente utili (LSU): un po’ di storia
Ad istituire originariamente la categoria degli LSU fu, la Legge 390/1981. Tale dispositivo mirava a strutturare alcuni interventi economici straordinari per favorire i lavoratori meridionali. L’Art.1bis in particolare riportava: “[…] qualora non sia possibile o necessario istituire corsi di qualificazione e di riqualificazione professionale per i lavoratori che godono del trattamento straordinario della Cassa integrazione guadagni, [le commissioni regionali per l’impiego] possono disporre l’utilizzazione temporanea dei lavoratori stessi, in attività non incompatibili con la loro professionalità, per opere o servizi di pubblica utilità, ovvero, quali istruttori, per iniziative di formazione professionale d’intesa con le amministrazioni pubbliche interessate.” Si trattò quindi, in origine, di un modo per innalzare il salario spettante dei lavoratori in Cigs, ottenendo da essi in cambio una prestazione lavorativa al servizio del bene comune.
Negli anni successivi, la platea dei lavoratori socialmente utili si espanse: a metà degli anni Ottanta, quanto stabilito dalla Legge 390/1981 venne esteso a tutto il territorio nazionale; nei primi anni Novanta, addirittura, dall’includervi i soli lavoratori in Cigs, si passò anche ad inglobarvi ulteriori categorie di lavoratori svantaggiati (lavoratori in mobilità, disoccupati da oltre 2 anni ed altri ancora).
Con i primi anni Duemila cessò la possibilità di approvare nuovi progetti di attività socialmente utili (ASU), ossia quelle attività finalizzate, nello specifico, a:
- prendersi cura ed assistere bambini, adolescenti e anziani;
- riabilitare e recuperare ex detenuti, ex tossicodipendenti e portatori di handicap;
- assistere soggetti in condizioni di disagio ed emarginazione;
- preservare e tutelare l’ambiente;
- mettere in sicurezza gli edifici;
- migliorare le condizioni per lo sviluppo turistico.
Vennero però procrastinate le ASU già in corso, che vedevano impiegati migliaia di lavoratori socialmente utili, e si iniziò a impostare un percorso volto alla stabilizzazione di tali lavoratori.
I lavori di pubblica utilità (LPU)
Mentre gli LSU tradizionali venivano quindi progressivamente ad esaurirsi, con il Decreto 26 marzo 2001 del Ministero della Giustizia furono gettate le basi dei lavori di pubblica utilità (LPU). Non si tratta, in questo caso, di lavori socialmente utili per disoccupati: a svolgere le stesse mansioni previste dagli LSU tradizionali sono stavolta i condannati per reati penali, la cui pena sostitutiva, alternativa alla detenzione, è proprio quella di occuparsi del bene comune.
Lavori socialmente utili: stipendio e inquadramento contrattuale
In ambedue i casi citati, LSU ed LPU, siamo di fronte ad attività che – come recita la sentenza del Consiglio di Stato 1253/2007, “[…] non ne consentono la qualificazione come rapporto di impiego; e ciò per la considerazione che il rapporto dei lavoratori socialmente utili trae origine da motivi assistenziali (rientrando nel quadro dei cosiddetti ammortizzatori sociali); e riguarda un impegno lavorativo certamente precario; non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento; presenta caratteri del tutto peculiari quali l’occupazione per non più di ottanta ore mensili, il compenso orario uguale per tutti (sostitutivo della indennità di disoccupazione) versato dallo Stato e non dal datore di lavoro, la limitazione delle assicurazioni obbligatorie solo a quelle contro gli infortuni e le malattie professionali.“
In merito al compenso percepito, esso è erogato dall’INPS ed è pari – dato del 2023 – a 656,44 €, per un impegno settimanale pari a 20 ore e per non più di 8 ore giornaliere.