Novembre 21, 2024

Cosa è lo spread

“Spread” è un termine inglese, utilizzato in ambito finanziario, che potremmo tradurre piuttosto agevolmente in italiano con la parola “scarto”. In generale nella finanza lo si usa per indicare la differenza che c’è tra due tassi. Per fare un esempio, forse piuttosto comune, lo spread è la differenza tra l’Euribor e il tasso di interesse applicato da un istituto di credito su un prodotto di mutuo a tasso variabile. Lo spread è, in questo caso, lo scarto tra i due tassi, ovvero la parte di guadagno riservata all’istituto di credito. Ma non è questo il tipo di spread che ai giorni nostri risulta essere onnipresente sulle pagine dei quotidiani.

Lo spread e i titoli di stato

Lo spread che ci interessa esaminare più da vicino è in realtà quello utilizzato per misurare la distanza di rendimento tra i titoli di stato decennali già emessi, presenti cioè sul mercato secondario. Qui risulta opportuno dare alcuni brevi cenni generali sulle obbligazioni statali e sul funzionamento dei mercati obbligazionari.

I titoli di stato

Quando uno stato ha necessità di finanziarsi può ricorrere a speciali prestiti, le obbligazioni o titoli di stato, che garantiscono a chi li acquista un interesse oltre alla restituzione del capitale anticipato all’ente emittente. La durata dell’obbligazione può variare – da sei mesi a trent’anni e persino oltre, in certi casi – e l’interesse aggiuntivo può essere riconosciuto ciclicamente (ogni tre, sei, dodici mesi) o direttamente alla scadenza. I titoli di stato presi a parametro per la misurazione dello spread sono, per l’Italia, i Buoni del Tesoro Poliennali decennali (BTP). Il rendimento dei BTP è dato da un flusso cedolare generalmente semestrale.

Il MOT (Mercato telematico delle Obbligazioni e dei Titoli di stato)

Quindi, abbiamo detto, lo stato emette titoli di debito. Ma come e dove possiamo acquistarne quote, se interessati? Le obbligazioni di prima emissione vengono collocate, da parte del Ministero dell’Economia e Finanza, sul cosiddetto mercato primario. Sostanzialmente si tratta di un asta pubblica alla quale si può accedere prenotando in anticipo la quantità desiderata del titolo. Va detto che essendo un acquisto anticipato chi compra non conosce, al momento della prenotazione, l’esatto prezzo di collocamento. L’altra modalità di acquisto dei titoli di stato è tramite il Mercato telematico delle Obbligazioni e dei Titoli di stato (MOT). Il MOT è gestito da Borsa Italiana e consente la negoziazione dei titoli quotidianamente. Per accedervi, il cliente retail ha la necessità di dotarsi di un conto online abilitato alle transazioni finanziarie ovvero di affidarsi al proprio istituto di credito. Al di là degli aspetti tecnici di come avvengono le transazioni sul MOT, sono queste ultime – e quindi il mercato – a determinare i rendimenti dei BTP già emessi.

Come funziona lo spread

Lo spread che quotidianamente pervade i notiziari in questi ultimi anni è praticamente la misura dello “scarto” in termini di rendimento che c’è tra i nostri BTP decennali e l’equivalente tedesco, il Bund. Il prendere come riferimento i titoli di stato decennali tedeschi è dovuto al fatto che l’economia della Germania viene considerata pressoché universalmente come la più robusta e stabile di tutta l’Unione Europea. Pertanto, la differenza di rendimento tra i due titoli segnala di fatto il rischio percepito dal mercato: più il rendimento del titolo paragonato al Bund si discosta per maggior interesse riconosciuto, più l’emittente del titolo – cioè lo stato – viene considerato “a rischio” solvibilità. È chiaro infatti che, per attrarre investitori sui BTP, lo stato italiano deve riconoscere rendimenti più elevati rispetto a quanto rendono i Bund; questo perché i fondamentali economici italiani – rispetto a quelli tedeschi – sono meno robusti.

Un po’ di storia

Fino a qualche anno fa, prima cioè della tempesta finanziaria del 2008 dovuta al crack Lehman Brothers, lo scarto BTP/Bund oscillava intorno ai 50 punti base (bp): vale a dire, ipoteticamente, se il Bund rendeva l’1%, il BTP rendeva l’1,5%. Tra il 2009 e il 2011, dopo Lehman Brothers, l’oscillazione è stata più marcata, partendo dai 50 bp sino ad arrivare attorno ai 200 bp. Ma è con la crisi dei debiti sovrani che si è avuta un’impennata clamorosa: il 9 novembre 2011 si arrivò a toccare i 553 bp! Questo comportò le dimissioni dell’allora governo in carica, guidato da Silvio Berlusconi e il conseguente varo dell’esecutivo tecnico Monti il quale, per “raffreddare” i mercati, mise mano tra l’altro alla famosa riforma delle pensioni conosciuta con il nome di Legge Fornero. Dopo un periodo di calma relativa, durato alcuni anni, con le ultime elezioni politiche del 2018 e il conseguente varo del governo Conte, lo spread è tornato a risalire sensibilmente, sfiorando i 300 bp. Questo veloce excursus riferito alla storia degli ultimi dieci anni circa ci mostra come si sia passati da uno scarto minimo, forse fisiologico, tra BTP e Bund (50 bp) ad un differenziale decisamente più volatile e tendenzialmente più elevato, che desta molte preoccupazioni.

Lo spread e gli interessi sul debito

Avere uno spread elevato significa indirettamente, per lo stato, pagare più interessi sul debito: se nei primi anni del secolo potevamo proporre BTP attraenti per gli investitori con solo mezzo punto percentuale di interesse riconosciuto in più rispetto al Bund, oggi siamo costretti, per poter stare sul mercato, quasi a proporre rendimenti triplicati rispetto a quelli dei titoli tedeschi. Pagare interessi più elevati può mettere inoltre a rischio la tenuta complessiva dei conti pubblici, anche costringendo il Paese a misure di risanamento draconiane, solo per onorare i propri creditori.

Lo spread e la tenuta del mondo bancario

Tra i principali creditori dello stato ci sono gli istituti di credito italiani. Si stima che l’ammontare dei titoli di stato acquistati dalle banche italiane sia attualmente di circa 396 miliardi di euro, in incremento rispetto allo scorso anno. L’innalzarsi dello spread oltre una certa soglia, tra i 400 e i 500 bp, potrebbe avere ripercussioni pesantissime sul capitale degli istituti di credito, costretti a contabilizzare drasticamente a ribasso i titoli di stato posseduti.

Polizze vita e spread

E gli investimenti assicurativi? Possono risentire negativamente dell’innalzamento del differenziale BTP/Bund? La risposta può essere negativa o positiva, a seconda se si tratti di investimenti di ramo 1 (gestione separata) o di ramo 3 (Unit). Le polizze Unit che investono in fondi obbligazionari risentono sensibilmente della volatilità dello spread. Non dando alcuna garanzia di capitale, l’eventuale perdita di valore dei titoli di stato acquistati dai fondi è interamente scaricata sui fondisti, che possono maturare pesanti minusvalenze. Discorso diverso invece per gli investimenti in gestione separata, nei quali in genere si da la garanzia del capitale – quantomeno a scadenza contrattuale. Pur essendo grandi contenitori di titoli di stato, le gestioni separate contabilizzano tali titoli al costo storico, non a valore di mercato, come invece sono obbligati a fare i fondi di investimento e gli istituti di credito. Inoltre, se ben governate, le gestioni separate dismettono raramente le obbligazioni possedute prima della loro scadenza, evitando pertanto di rischiare sensibili perdite di valore. In ultima analisi, investire in gestione separata rappresenta ancora un opportunità di rifugio, in presenza di un mercato sempre più dominato dall’incertezza e dalla volatilità.