Esistono dei contratti assicurativi vita che, pur prevedendo l’erogazione di un capitale a scadenza, non sono collegati ad eventi attinenti alla vita umana e pertanto non prevedono contrattualmente la figura dell’assicurato: stiamo parlando del contratto di capitalizzazione.
Quando consideriamo un contratto assicurativo vita – protezione o risparmio che sia – abbiamo a che fare generalmente con tre figure contrattuali: contraente, beneficiario ed assicurato:
- il contraente è la persona (fisica o giuridica) che detiene la titolarità del contratto;
- il beneficiario (in caso di vita o di morte) è la persona (fisica o giuridica) alla quale viene erogata la prestazione assicurativa;
- l’assicurato è la persona fisica sulla cui vita è effettuata la scommessa assicurativa.
Cos’è il contratto di capitalizzazione
Riportiamo quanto è espressamente definito dall’art.179 del Codice delle Assicurazioni.
“La capitalizzazione – si legge nel Codice – è il contratto mediante il quale l’impresa di assicurazione si impegna, senza convenzione relativa alla durata della vita umana, a pagare somme determinate al decorso di un termine prestabilito in corrispettivo di premi, unici o periodici […]”. Il contratto di capitalizzazione non può avere durata inferiore ai cinque anni, mentre è prevista la possibilità del riscatto trascorsi due anni dalla sottoscrizione, a condizione che sia stato corrisposta la prima annualità di premio (se – ovviamente – il contratto è a premi periodici).
Risulta evidente che il contratto di capitalizzazione sia di natura totalmente finanziaria e non assicurativa. Il rischio, nel caso di tali strumenti, è esclusivamente finanziario: non è collegato cioè ad alcun evento della vita di un determinato soggetto assicurato. È pertanto il tipo di investimento, ossia dove vengono versati i premi e come vengono gestiti a determinare la rischiosità della “polizza”. E la scommessa è tutta qua: la compagnia di assicurazione dovrà corrispondere al beneficiario, ad una determinata scadenza, un capitale composto dalla somma dei premi versati – al netto dei costi di gestione – rivalutati secondo il regime dell’interesse composto. L’interesse è detto composto quando – al contrario dell’interesse semplice – questo viene capitalizzato: ad esempio, ad ogni ricorrenza annuale, esso si aggiunge al capitale precedente e contribuisce a generare interesse. In genere, i contratti di capitalizzazione investono in gestione separata, per la maggiore stabilità di rendimento che questi strumenti offrono: nel lungo periodo, investire in gestione separata è un sistema efficace per garantirsi dall’erosione dell’inflazione e – in certi periodi storici – anche per valorizzare sensibilmente le somme allocate. I contratti di capitalizzazione che ancora sopravvivono, tra quelli offerti attualmente da parte delle compagnie assicurative, sono prevalentemente soluzioni a premio unico.
Aspetti normativi e fiscali
Comprensibilmente i contratti di Ramo V – non essendo affatto di natura indennitaria – rientrano nell’asse ereditario e risultano soggetti anche alla ordinaria disciplina fiscale. Non mostrando pertanto particolari vantaggi, negli ultimi anni queste particolari soluzioni di investimento assicurativo sono state per lo più abbandonate.