Il regime fiscale delle polizze vita collettive

Un recente chiarimento dell’Agenzia delle entrate ha ribadito un concetto già piuttosto noto. Le polizze vita collettive di risparmio debbono essere equiparate ai redditi da lavoro. Approfittiamo di questa presa di posizione avvenuta da poco per affrontare il tema delle polizze vita collettive in generale, nonché quello del loro regime fiscale.

Cosa sono le polizze vita collettive?

I contratti sulla vita di tipo collettivo sono polizze che prevedono come contraente un’azienda o un’organizzazione e come assicurato un gruppo di persone appartenenti all’azienda o all’organizzazione stessa. Il vantaggio nell’utilizzare questo tipo di coperture, quando è possibile, è quello di consentire in genere sia un abbattimento dei costi sia una semplificazione del processo assuntivo. La compagnia assicurativa, di fronte ad un numero ampio di teste assicurate, può infatti derogare ad alcune richieste cautelative. Essa può rinunciare a chiedere, ad esempio, per la sottoscrizione di una temporanea caso morte, se qualcuno degli assicurati fumi o meno, nonché distribuire più uniformemente il rischio, con ciò livellando verso il basso i premi. In genere questo tipo di contratti sono regolati da speciali convenzioni tra la contraente e la compagnia assicurativa.

Tipologia di polizze vita collettive

Le polizze vita di tipo collettivo si possono distinguere generalmente in tre grandi gruppi:

  • polizze previdenziali, o fondi pensione aperti/chiusi;
  • contratti di copertura di gruppo (TCM e LTC);
  • polizze collettive per legge (gestione TFR).

Queste tre tipologie di contratti collettivi risultano tutti disciplinati chiaramente. Sui fondi pensione non ci soffermiamo, avendone diffusamente parlato altrove (in particolare qui e qui). Le collettive TCM ed LTC sono invece contratti che rientrano nel cosiddetto “Welfare aziendale”: se ben strutturati, sono costi deducibili per l’azienda o l’organizzazione contraente e costituiscono per gli assicurati una prestazione assicurativa, che scatta – rispettivamente – nel caso di morte (in genere come somma destinata ai familiari superstiti) e nel caso di perdita dell’autosufficienza (in genere come assegno vitalizio). Le polizze TFR sono invece contratti assicurativi destinati a gestire da parte dell’azienda il trattamento di fine rapporto dei dipendenti, quando questi abbiano deciso di non destinarlo alla previdenza complementare.
Ovviamente è possibile stipulare altre forme di contratti vita di tipo collettivo, come ad esempio polizze collettive di risparmio. In tal caso però è bene aver chiara la dinamica fiscale che ci sta dietro.

Contratti collettivi di risparmio: regime fiscale

Come accennato all’inizio, l’Agenzia delle entrate ha ribadito recentemente un principio già per lo più seguito nella prassi. Si tratta di una questione che ha a che fare con la tassazione dei contratti collettivi di risparmio.

Un caso specifico

Si riporta che nel marzo del 2009 un certo Comune stipulava, a favore degli agenti di Polizia Municipale, una polizza collettiva previdenziale integrativa con una certa compagnia di assicurazione. Tale contratto risultava finanziato annualmente con parte dei proventi derivanti dalle sanzioni alle violazioni del Codice della Strada. Il contratto specificava che in caso di riscatto parziale o totale dello stesso il beneficiario sarebbe stato il dipendente assicurato. La liquidazione sarebbe avvenuta tramite il contraente, al quale la compagnia assicurativa avrebbe liquidato la somma totale dovuta per ogni singola posizione assicurativa e su cui sarebbe gravato l’onere di operare le ritenute fiscali e previdenziali di legge, nonché l’obbligo di versare al beneficiario la somma netta. Tale liquidazione sarebbe avvenuta concretamente dopo dieci anni, a scadenza di contratto. Il Comune operava in tal caso liquidando le somme ai beneficiari secondo il regime dei “redditi a tassazione separata”, seguendo i dettami del Decreto Legislativo n.124 del 1993, al netto dell’imposta sostitutiva, come disciplinato dalla Legge n.47 del 2000

Il parere dell’Agenzia delle entrate

L’interpellanza all’Agenzia delle entrate è dovuta alla diversa interpretazione che uno dei beneficiari della polizza in oggetto darebbe alla tassazione della somma liquidata. Secondo costui, in caso di riscatto totale, parziale o alla scadenza naturale del
contratto, il sostituto d’imposta deve applicare attualmente un’imposta sostitutiva pari al 26% sulla parte liquidata, facendo la differenza tra il capitale maturato fino a quel momento e i premi versati. In particolare, alle plusvalenze maturate:

  • fino al 31/12/2011 si applicherebbe l’aliquota del 12,50%, indipendentemente dalla composizione del sottostante finanziario collegato al contratto;
  • dal 01/01/2012 al 30/06/2014 si applicherebbe l’aliquota del 12,50% o del 20% in base alla natura del sottostante finanziario collegato al contratto;
  • a partire dal 01/07/2014 si applica l’aliquota del 12,50% o del 26 % in base alla natura del sottostante finanziario collegato al contratto.

A tale critica l’Agenzia delle entrate risponde dando ragione all’operato del Comune. Per essa, trattasi di un fringe benefit, imponibile ai sensi dell’Art.51 comma 1 del Tuir, il quale recita: “[i]l reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.”

Riccardo Cantini

Nato a Piombino (LI) nel 1969, vive a Firenze da circa trent’anni. Laureato in filosofia, è stato editor e product manager per diverse realtà editoriali fiorentine. Da oltre dieci anni svolge l’attività di consulente assicurativo. Si interessa in particolare di soluzioni assicurative per le PMI, di previdenza integrativa e di soluzioni d’investimento assicurativo.